Sono molte le donne disabili a cui viene sconsigliato di diventare mamma e che si sentono giudicate quotidianamente per il loro bisogno di avere una famiglia.
I pregiudizi legati al mondo della disabilità sono ancora tanti. Si tratta di una tematica tuttora delicata, poco esplorata, in cui vi è una tendenza a generalizzare senza conoscere. E quando si tratta di disabilità e maternità, ci addentriamo ancor di più in una serie di pregiudizi difficili da abbattere.
Ancora oggi si pensa che una donna disabile non sia in grado di portare avanti una gravidanza e di crescere un figlio. Ed è proprio questo il tema che andremo a toccare oggi, cercando di sfatare alcuni dei pregiudizi più comuni legati al mondo delle mamme disabili.

1. Per una donna disabile, la gravidanza è più a rischio 

Non tutte le disabilità permettono di avere figli, questo è vero. La predisposizione o meno dipende da molti fattori, ad esempio se la disabilità è insorta dopo l’età dello sviluppo o meno. A parte per alcuni casi, in generale comunque possiamo dire che la gravidanza è quasi sempre permessa.

Se, ad esempio, parliamo di ipomobilità, la gravidanza può implicare un rischio di alto tasso di diabete gestazionale o di trombosi.
Una donna in carrozzina potrebbe riscontrare problemi in seguito ai cateterismi, che servono per urinare. In questo caso si potrebbero verificare infezioni che potrebbero generare un aborto spontaneo. Altre disabilità, come la distrofia muscolare miotonia, non prevedono la possibilità di poter portare avanti una gravidanza invece.
Molti studi si sono concentrati sugli effetti che il parto e la gestazione possono avere su donne affette da sclerosi multipla ed è stato rilevato che non esistono controindicazioni alla gravidanza per questa patologia. Infatti, non esistono differenze nei tempi di ospedalizzazione post parto tra donne affette da sclerosi multipla e donne sane. 

2. Una donna disabile non ha bisogni sessuali 

I diritti sessuali e riproduttivi delle donne con disabilità vengono genericamente giudicati in modo contraddittorio. Perché da una parte esiste ancora un’idea della donna come oggetto sessuale o nel ruolo di madre, dall’altra vi è il concetto che rappresenta la donna disabile come un soggetto asessuato e inadatto a essere madre.
Possiamo stabilire con certezza che essere disabili non significa non provare impulsi sessuali. Al contrario, le donne con disabilità possono provare lo stesso desiderio sessuale di chiunque altro, in modo del tutto naturale.
Il problema? Quando si tratta di disabilità, il sesso diventa un campo minato da tabù e pregiudizi. Spesso viene difficile pensare a tutte le difficoltà intrinseche alla sfera sessuale delle persone con disabilità, altre volte si pensa che il sesso non sia nemmeno una loro necessità.
Molto spesso il pregiudizio parte dalla famiglia, che considera le donne con disabilità come asessuate, inadatte a vivere con un partner e ad essere madri.
Sono proprio i bisogni e i desideri sessuali e non essere visti come tali e, automaticamente, vengono repressi anche all’interno del contesto sociale di cui si è parte. 

La stessa Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità, approvata nel 2007 e successivamente ratificata in Italia – sia con un esplicito riferimento all’esercizio della sessualità sia indirettamente – riconosce ripetutamente in diversi articoli, a livello di obblighi generali, di diritto alla casa ed alla famiglia, di diritto alla vita, di libertà, di inclusione, di vita indipendente, di educazione e di salute, la necessità di non discriminare le persone con disabilità per quanto riguarda il pieno godimento dei propri diritti, definendo una base etico giuridica agli interventi che sostengono l’educazione e la tutela della sessualità umana anche per le persone con disabilità.
Sotto un profilo generale, l’OMS (2001) ha equiparato il diritto alla salute sessuale ai diritti umani in generale. Con ciò la sessualità è entrata a far parte a pieno titolo delle componenti che creano il benessere di una persona, analizzata anche in funzione psicoeducativa e sociale. 

Ogni donna deve sentirsi libera di vivere la sessualità in maniera naturale e personale, così come di avere o no il desiderio di essere madre e creare una famiglia con il proprio compagno. Non ci sono regole, è un mondo in cui i diritti delle donne con disabilità di prendere decisioni sulla propria vita, sulla sessualità e sulla maternità devono essere garantiti e liberi da ogni tipo di pregiudizio. 

3. Una donna disabile è troppo fragile per portare avanti una gravidanza 

Le donne con disabilità fisiche hanno circa la stessa probabilità di diventare madri delle donne di età simile senza disabilità e, anche per donne disabili dalla nascita, la gravidanza non è di per sé pericolosa.
Osservando ancora l’esempio di una donna con sclerosi multipla, durante la gestazione questa dovrebbe interrompere la terapia. Come conseguenza, si potrebbero verificare i sintomi tipici come i problemi di equilibrio, difficoltà nel camminare. In generale il senso di fatica durante la gravidanza può peggiorare.

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4. Una donna disabile che ha bisogno di cure, non è in grado di prendersi cura di un bambino

Sono molti i pregiudizi riguardanti le neo mamme disabili. Come possono
prendersi cura di un’altra persona, quando sono loro stesse ad avere bisogno
dell’aiuto di qualcun altro per svolgere delle normali attività quotidiane?


È sicuramente vero che a seconda della natura della disabilità, i compiti quotidiani
di una mamma potrebbero essere più difficili o impegnativi. Se si tratta di una
disabilità fisica, potrebbero esserci problemi a prendere in braccio il figlio o a
svolgere attività come fare la spesa, i lavori domestici, pulire o cucinare.
Le madri disabili con patologie fisiche, potrebbero aver bisogno di usare
adattamenti per prendersi cura dei loro bambini attraverso, per esempio, la
tecnologia assistiva o adattamenti nella tecnica o nelle attrezzature per
sollevare o trasportare in sicurezza i loro bambini, cambiare i pannolini, allattare o
fare loro il bagno.
Se una mamma si dovesse stancare facilmente, potrebbe avere difficoltà a tenere il
passo con un bambino molto attivo. Sono tutti fatti reali. Ma spesso non viene
preso in considerazione il ruolo del compagno, che è fondamentale e
completamente diverso dall’idea che abbiamo nella società italiana. Soprattutto quando il neonato è piccolo, il compagno può avere un ruolo fondamentale di
accudimento primario.
In ogni caso, una volta cresciuti, i figli possono essere coinvolti nel sostegno e
nella cura di un genitore disabile e aiutare nelle faccende di casa.


Per una neo mamma disabile, riconoscere quando si ha bisogno di aiuto può
essere difficile, ma conoscere i propri limiti e pianificare in anticipo quale supporto
sarà necessario può aiutare a rendere le cose più facili per le mamme e i loro figli.

5. Una donna disabile può trasmettere la malattia al figlio

Vi è una forte paura di una gravidanza e delle sue conseguenze. Ad esempio, si
pensa che le donne con disabilità possano avere problemi in seguito al parto o
possano trasmettere la malattia al figlio. Queste preoccupazioni possono
condizionare la loro vita, rendendole meno indipendenti nelle proprie decisioni e
dando loro minore riservatezza.
Quando si tratta di disabilità genetica, è sicuramente importante sottoporsi a
eventuali esami per escludere la possibilità di trasmettere la malattia al figlio e
per conoscere i rischi derivanti dalle anomalie genetiche.


Il mondo della disabilità è ancora un discorso molto complesso. Ma se riusciamo a
mettere da parte tutti i pregiudizi legati a questa tematica, ci rendiamo conto che la
cosa più importante per un bambino è l’amore. E l’amore è qualcosa che viene
dato in modo del tutto naturale, indipendentemente dalla condizione fisica di un
genitore. Una donna con una disabilità fisica non sarà in grado di giocare a calcio
con il proprio figlio, ma potrà sedersi per terra insieme a lui per giocare con i Lego.
L’unica cosa di cui hanno bisogno veramente i bambini è l’amore, come è vero che
ogni bambino riesce sempre ad adattarsi alla mamma che ha, perché alla fine,
diciamolo, nessuna mamma è perfetta.

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